lunedì 30 novembre 2015

Arabia Saudita: "un Daesh riuscito"?

La sintesi di una conversazione con Stephane Lacroix, professore di Scienze politiche ed esperto di salafismo, su ciò che accomuna e ciò che distingue il salafismo jihadista di Daesh dal wahhabismo saudita. Il video-intervista è stato realizzato da Mediapart pochi giorni dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre. 



Secondo il giornalista algerino Kamel Daoud, Daesh ha una madre, l’invasione americana dell’Iraq nel 2003, e un padre, l’Arabia Saudita.
Ma Stephane Lacroix non è d’accordo. Sebbene Daesh e l’Arabia Saudita condividano molti aspetti ideologici, teologici e giuridici, e l’approccio letteralista alle Scritture, per diverse ragioni Daesh non può essere considerato un prodotto saudita.

In primo luogo, il salafismo saudita ha dato vita a un sistema politico costruito su un equilibrio tra religioso e politico. Questo sistema bicefalo fa sì che “l’estremismo” religioso sia in un certo modo limitato dal patto che lo lega alla parte politica. In Arabia Saudita sono presenti due sfere, i predicatori e i principi. I principi attuano politiche pragmatiche, fanno la real-politik lasciandosi guidare dalla ragione di Stato. Questo i sauditi l’hanno dimostrato in più di un’occasione nelle loro decisioni di politica estera. Si sono alleati con gli Stati Uniti e in alcuni momenti della storia addirittura con i comunisti. Negli anni ’60 durante la guerra civile in Yemen hanno sostenuto gli zaiditi, sciiti, perché erano ostili all’influenza dei nasseristi, nonostante l’ideologia wahhabita sia anti-sciita. Nel ’94 sempre in Yemen hanno sostenuto i comunisti.

L’Arabia Saudita, contrariamente allo Stato Islamico, si definisce Stato, non califfato, e i principi non si dicono califfi.

Il salafismo saudita è una visione societaria che si ferma là dove inizia la parte politica. I salafiti agiscono sulla società dal basso. Essi diffondono il loro messaggio ultraconservatore attraverso la predicazione, vogliono costituire quella che secondo loro è la società islamica ideale ma non hanno pretese politiche. Il jihadismo invece è l’esatto contrario, cerca di prendere il potere con la violenza.

Nel Novecento, in Arabia Saudita, il politico ha saputo addomesticare il religioso. Ciò è evidente, per esempio, nella visione che i wahhabiti hanno maturato degli sciiti. Se nell’Ottocento li definivano apostati, nel Novecento hanno iniziato a considerarli dei cattivi musulmani, ma pur sempre musulmani.

I sauditi vedono nella Stato Islamico una minaccia ed è esagerato affermare che l’abbiano sostenuto finanziariamente. Lo Stato Islamico funziona come un qualunque Stato: ha introdotto le imposte e controlla i pozzi petroliferi, perciò per esistere non ha bisogno di finanziamenti esterni.

Il salafismo non spiega le origini del jihadismo, cioè dell’azione violenta ispirata da un programma totalitario volto a costituire uno Stato islamico duro e puro. All’origine del jihadismo c’è Sayyid Qutb, che non ha subito l’influenza del salafismo saudita. Il messaggio jihadista ha iniziato a essere ridefinito e riscritto a partire da nozioni salafite solamente negli anni ’90. Il jihadismo non ha bisogno del salafismo per esistere.

Il salafismo e il jihadismo pongono entrambi dei problemi, ma non gli stessi. Per affrontarli occorre saperli riconoscere. Fare confusione tra i due e offrire soluzioni sbagliate può potenzialmente condurre alla radicalizzazione.

In Arabia Saudita in futuro potrebbe emergere uno Stato diverso da quello che conosciamo. Diversi movimenti infatti contestano l’ordine religioso. L’opposizione di destra lo ritiene troppo morbido e auspica un modello duro e puro (che si avvicina a quello di Daesh), mentre l’opposizione di sinistra vorrebbe reinventare il salafismo. Si tratta, in questo secondo caso, di uomini di religione che hanno studiato nelle università saudite, padroneggiano alla perfezione le fonti e le nozioni salafite e, a partire da queste, cercano di ridefinire il ruolo del religioso e del politico. Essi hanno costituito un movimento che chiede l’istituzione di una monarchia costituzionale con un parlamento eletto, e la giustificano citando passaggi tratti dai testi di Ibn Taymiyya, considerato l’ispiratore del salafismo moderno.

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