giovedì 12 novembre 2015

La minaccia jihadista nel Sinai

A dieci giorni dalla caduta del volo 7K9268 in Sinai, Londra e Washington propendono per l’ipotesi dell’attentato. E mentre l’inchiesta procede, la Provincia di Aleppo, affiliata allo Stato Islamico, ha postato online un nuovo video di sette minuti dal titolo “Appagamento delle anime per l’uccisione dei russi” in cui si congratula con i fratelli della Wilâyat Sinai, la Provincia del Sinai, per l’abbattimento dell’aereo russo in cui hanno perso la vita “220 crociati russi”. Una voce fuori campo celebra l’attentato e mette in guardia la Russia, minacciandola di mietere altre vittime se il governo continuerà a intromettersi nella questione siriana. Questo è il terzo video di rivendicazione rilasciato in pochi giorni. Il primo era un breve audio-video realizzato a poche ore dall’attentato mentre il secondo, dal titolo “Siamo stati noi a farlo cadere. Schiattate di rabbia”,  è stato postato il 4 novembre.



 [Versione breve del video “Appagamento delle anime per l’uccisione dei russi”]

Tuttavia non tutti sembrano propendere per l’ipotesi dell’attentato. Tra gli esperti vi è anche chi la ritiene illogica. Secondo William McCants, ricercatore del Brookings Institution, effettuare una spedizione punitiva contro la Russia abbattendo un suo aereo sarebbe controproducente per lo Stato Islamico. Infatti in Siria la Russia non sta combattendo le milizie del Califfo, ma i gruppi jihadisti che vogliono rovesciare quel che resta del governo di Bashar al-Asad e che interferiscono con lo Stato Islamico. Nel mirino russo ci sono gli uomini di Jabhat al-Nusra, Ahrar al-Sham, Jabhat Ansar al-Din e dell’Esercito Siriano Libero. In un certo senso perciò la presenza russa in Siria sarebbe vantaggiosa per lo Stato Islamico perché combatte i suoi nemici.

L’evoluzione del jihadismo in Sinai

Il Sinai è da anni una spina nel fianco del governo egiziano. Per la sua posizione geografica, la penisola è ideologicamente più vicina a Gaza che al Cairo, e anche le vie del commercio hanno sempre portato le tribù che popolano il Sinai verso Nord piuttosto che verso Sud. Inoltre la morfologia della penisola non è certo stata d’aiuto alle forze di sicurezza egiziane, che difficilmente sono riuscite a controllare la zona desertica settentrionale e la zona montagnosa meridionale. Senza dimenticare che il Sinai è una zona cuscinetto tra Egitto e Israele e, come tale, dev’essere demilitarizzata. Se si considera inoltre la bassa densità demografica della regione, si capisce come la penisola sia stata da sempre un ottimo rifugio per i militanti che, dal 2000 hanno avuto mano libera soprattutto nella parte settentrionale del Sinai.

È in questa zona che negli anni ‘90 si è formato il gruppo terrorista al-Tawhîd wa al-Jihâd, a cui sono stati attribuiti gli attentati di Taba nell’ottobre 2004, di Sharm el-Sheikh nel luglio 2005 e di Dahab nell’aprile 2006.

Il Sinai settentrionale è stato inoltre la destinazione preferita dei salafiti di Jund Ansar Allah, gruppo attivo nella striscia di Gaza, che ad agosto 2009 fu messo in fuga da Hamas per aver proclamato la nascita di un Emirato Islamico in Palestina. Questo atto di sfida è costato la vita ad ‘Abdel Latif Mussa, leader spirituale dell’organizzazione, la cui morte segnò l’inizio della fine del gruppo, decimato dalle ritorsioni di Hamas. I superstiti ripararono in Sinai sfruttando i tunnel nella montagna che congiungono Gaza alla penisola egiziana.

La grande occasione dei jihadisti del Sinai arrivò nel febbraio 2011 con le dimissioni del presidente Hosni Mubarak. Analogamente a quanto stava avvenendo in Tunisia, anche nell’Egitto post-rivoluzione furono rilasciati molti detenuti con un passato jihadista i quali, una volta usciti dal carcere, non esitarono a riprendere i vecchi contatti e costituire nuovi gruppi. Così fece, per esempio, Muhammad al-Zawahiri, fratello del leader di al-Qaida, Ayman al-Zawahiri.

Nel biennio 2011-2013 le attività jihadiste fervevano e il Sinai divenne una sorta di “fabbrica di jihadisti” che ha dato i natali a decine di gruppi salafiti. Uno di questi, Ansar Beit al-Maqdis (Abm; poi noto come Provincia del Sinai), riuscì presto a consolidarsi e a emergere nel panorama salafita egiziano.

Come si è formato Ansar Beit al-Maqdis

Nel vuoto di potere lasciato dalla caduta del presidente Mubarak, e a seguito della crisi securitaria innescata dalle tribù del Sinai che hanno cacciato le forze di sicurezza governative dalla penisola, buona parte dei militanti della regione si sono uniti al gruppo al-Tawhîd wa al-Jihâd. Da questa unione è nato Ansar Beit al-Maqdis. Come suggerisce il nome stesso dell’organizzazione, “i paladini di Gerusalemme”, inizialmente l’obbiettivo di Abm era liberare Gerusalemme dal governo israeliano. Perciò le prime azioni terroristiche miravano a colpire degli obbiettivi locali. La prima di queste operazioni risale a luglio 2012, quando i militanti attaccarono un gasdotto che esportava gas verso la Giordania e Israele. Poco tempo dopo, l’organizzazione lanciò dei missili dal Sinai sulla città di Eilat (agosto 2012) e attaccò una pattuglia israeliana di confine (settembre 2012) in risposta alla produzione cinematografica “Innocence of Muslims”, il lungometraggio “blasfemo” prodotto dal cristiano copto Nakoula Basseley Nakoula, ma inizialmente ritenuto una produzione israeliana.

La destituzione del presidente islamista Mohammad Mursi nel 2013 ha segnato un cambio di rotta nella strategia di Ansar Beit al-Maqdis. Collaborando con i gruppi disseminati nei vari teatri di crisi egiziani, l’organizzazione è infatti riuscita a estendere la sua rete su tutto il territorio e ad affermarsi come movimento jihadista nazionale.

Rivendicazione di Ansar Beit al-Maqdis dell'attentato alla sede della sicurezza nel Sud Sinai 

Da questo momento, Ansar Beit al-Maqdis sposta la sua attenzione dal fronte nord al fronte sud, prendendo di mira i militari di al-Sisi e alcune personalità politiche egiziane, punendole per il massacro di piazza al-Râbi‘a avvenuto nell’agosto 2013 in cui persero la vita oltre 600 persone. A oggi le vittime delle forze di sicurezza sono oltre 700, la maggior parte delle quali sono state uccise del Sinai settentrionale, grazie anche alla collaborazione di agenti di polizia disertori che hanno abbracciato la causa jihadista. In questo contesto rientrano, per esempio, l’omicidio del Tenente Colonnello Muhammad Mabrûk, ucciso al Cairo nel novembre 2013, e il tentato omicidio del ministro degli Interni Muhammad Ibrâhîm.

Il 10 novembre 2014 il leader di Ansar Beit al-Maqdis, Abû ‘Usâma al-Masrî, dichiarava fedeltà allo Stato Islamico e l’organizzazione assumeva una nuova denominazione, diventando Provincia del Sinai. Secondo alcuni analisti questa scelta non sarebbe stata condivisa all’unanimità e avrebbe favorito molte divisioni. Alcune cellule della valle del Nilo avrebbero infatti preferito rimanere fedeli ad al-Qaida. L’alleanza con al-Baghdadi si sarebbe perciò rivelata un'arma a doppio taglio perché ostacolerebbe le aspirazioni nazionali e transnazionali della Wilâyat Sinai che, avendo perso il sostegno di molti gruppi in terra ferma,  avrebbe dovuto ripiegare nel Sinai.

Uomini della Wilayat Sinai
La delicata situazione del Sinai negli ultimi quattro anni mette a nudo le difficoltà del governo egiziano ad arginare il terrorismo. Pur avendo lanciato diverse campagne anti-terrorismo (l’ultima delle quali, la Martyr’s Right, lanciata a ottobre) e nonostante l’adozione di molte misure di sicurezza, l’Egitto ha dimostrato di non riuscire a mettere in sicurezza la penisola né contenere la minaccia jihadista. 

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