giovedì 25 febbraio 2016
martedì 23 febbraio 2016
È guerra tra jihadisti: al-Qaeda vs Isis
Un lungo comunicato del
leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, esorta i qaedisti che stanno
combattendo il loro jihad in Iraq e in Siria a diffidare della miscredente Arabia
Saudita, colpevole di aver instaurato relazioni diplomatiche
con l’Occidente a scapito del Regno, aver tradito Osama bin Laden consegnandolo
agli americani, dato rifugio ai premier arabi destituiti a seguito delle
“primavere arabe”, ed essersi schierata contro il terrorismo jihadista.
Ma l’Arabia Saudita non è l’unico bersaglio del leader di al-Qaeda;
la lettera diventa infatti un’occasione per colpire i “fanatici takfiristi”
dello Stato Islamico, che strumentalizzano il takfîr per mettere in cattiva
luce i “rivali” qaedisti.
Qui sotto la
traduzione parziale del documento.
Clicca qui per consultare il testo originale in arabo.
Il Levante è
affidato ai vostri colli
[...] Fratelli
miei, musulmani e combattenti, tutti hanno seguito la recente conferenza di
Riyadh e la successiva dichiarazione dell’Arabia Saudita sulla formazione di un’alleanza
per combattere ciò che essa, nell’interesse dell’America, definisce terrorismo.
Questi sono solo due anelli nella catena dei tentativi dell’Arabia Saudita e
dei suoi simili malvagi di deviare dalla retta via la traiettoria del jihad in
generale, e nel Levante in particolare, affondarlo nella palude dello Stato
nazionale e trasformarlo in un fallimento, esattamente come hanno fatto con quella
che hanno definito “primavera araba”.
Perciò supplico
i miei fratelli che combattono nel Levante di stare in guardia da questo
governo malvagio e non dimenticare la sua storia oscura a servizio dei nemici
dell’Islam.
Fu ‘Abdul ‘Aziz al-Saud a stipulare, nel 1915, il trattato [di Darin, ndt] con la
Gran Bretagna, che nella prima Guerra mondiale scese in campo contro lo Stato
ottomano. La Gran Bretagna avrebbe protetto Ibn Saud, che in cambio si
impegnava a non stipulare accordi con nessun altro governo straniero. Il trattato mirava a colpire lo Stato ottomano.
Quando nel 1936
scoppiò la grande rivolta in Palestina, ‘Abd al-‘Azîz al-Sa‘ûd inviò i suoi due
figli a guidare gli insorti e, insieme a re Ghazi e il principe ‘Abdallah, rilasciò
la seguente celebre dichiarazione: “Abbiamo già sofferto molto per la situazione in
Palestina e, in accordo con i nostri fratelli, i re degli arabi e il principe
‘Abdallah, vi esortiamo a restare in pace e risparmiare le vite, fidandovi delle
buone intenzioni del governo britannico, nostro amico, del suo desiderio dichiarato
di realizzare la giustizia, e del nostro aiuto”. Così i
Palestinesi si sottomisero e la rivoluzione si spense.
Il Presidente Roosevelt e il Re Abdul 'Aziz al-Saud |
Poi il governo
saudita orchestrò l’uccisione dello shaykh
Osama in Pakistan, il quale però riuscì a fuggire in Sudan. A quel punto
l’Arabia Saudita fece pressioni al Sudan perché allontanasse lo shaykh Osama e i suoi fratelli. Allora
Osama andò ospite da Yunis Khâlis a Jalalabad, e l’Arabia Saudita chiese a
quest’ultimo di allontanarlo. Le stesse richieste – di allontanare Osama e i
suoi fratelli o consegnarli all’America – l’Arabia le presentò anche all’emirato
islamico finché l’ordine dell’audace Turki al-Faysal giunse a Qandahar al
mullah Muhammad ‘Umar, a cui fu chiesto di consegnare Osama bin Laden – Dio ha avuto
misericordia di lui – e i suoi fratelli. Il mullah allora lo allontanò rivolgendogli
parole dolorose.
Quando in Sudan
scoppiò la guerra civile, l’Arabia Saudita fornì armi a John Garang e lo stesso
fece con i comunisti nello Yemen meridionale.
Re Fahd e
successivamente ‘Abdullah si fecero promotori delle loro imprese malvage e
riconobbero a Israele il diritto di occupare le terre prese prima del ’67.
Dall’Arabia
Saudita partivano gli aerei crociati che colpivano l’Iraq e l’Afghanistan, e
che oggi colpiscono il Levante e l’Iraq.
Quando scoppiarono
le rivoluzioni dei popoli arabi, l’Arabia Saudita accolse Zayn al-‘Abidin bin
‘Ali, incaricò ‘Abd Rabbih Mansur Hadi, vice del [presidente] destituito, di
prendere il posto di quest’ultimo, e sostenne al-Sisi nel rovesciamento dei
Fratelli. Oggi l’Arabia Saudita continua a esercitare questo ruolo malvagio
contro il jihad e i mujahidin.
Oggi l’Arabia
Saudita vuole a suscitare la sedizione (fitna) fra i mujahidin del
Levante e giocare lo stesso ruolo malvagio in Afghanistan, nella speranza che le
file jihadiste si disintegrino e figure come quelle di Mujaddidi, ‘Abd Rabbih Mansur
Hadi, al-Sisi e Beji Caid Essebsi assumano il potere nel Levante, agendo in difesa
degli interessi dell’America e della sicurezza di Israele.
O voi mujahidin
del Levante, le esperienze e la storia vi insegnano che l’Arabia Saudita non
punterà ad altro che a distruggere il Levante, salvaguardare la sicurezza di
Israele e abortire qualsiasi tentativo di costituire un potere islamico nel
Levante. State in guardia dall’Arabia Saudita, dai suoi complotti e dalle sue
conferenze. […]
L’Arabia
Saudita non vi darà libertà, né dignità né onore perché non può darvi ciò che
non ha. Oggi l’Arabia
Saudita e i suoi simili sono strumenti dell’Occidente crociato per l’istituzione
nel nostro mondo arabo-islamico dello Stato laico nazionale (dawla ‘almâniyya
wataniyya), assoggettato alla legge internazionale. Perciò ciascun mujahid
deve stare in guardia da espressioni quali “Stato civile e plurale” con le
quali i laici intendono dei significati ben precisi, che portano al rifiuto della
religione, al dominio delle passioni umane e alla sottomissione al piacere e al
profitto, riferimento del mondo contemporaneo.
Fratelli miei
che combattete nel Levante e in ogni luogo, il nobile Corano ha definito
l’obbiettivo del jihad in questi termini: “Combatteteli finché non ci sarà più
discordia e il culto sia interamente reso a Dio” (8,39), mentre il Profeta, la
preghiera e la pace siano su di lui, disse: “Chi combatte ed esclama a gran
voce la parola Allah, costui è sulla via di Dio”. Il nostro jihad e il nostro
sforzo devono essere volti a costituire lo Stato musulmano in cui viga la
sharia, che non riconosca i confini nazionali né le distinzioni etniche, e che
creda nell’unità delle terre islamiche e nella fratellanza dei credenti.
Militanti di Jabhat al-Nusra, movimento affiliato ad al-Qaida, in Siria |
Perciò coloro
che emigrano nel Levante o verso qualsiasi altro fronte jihadista non possono
essere definiti stranieri poiché essi sono fratelli nella fede e nella dottrina
e sacrificano la loro vita per far trionfare la religione di Dio. Perciò volerli
espellere dal Levante o da qualsiasi altra terra islamica contraddice evidentemente
le prescrizioni dell’Islam. Il Profeta, la preghiera e la pace siano su di lui,
definì il Levante “il cuore della terra dei credenti”.
Fratello mio,
che combatti nel Levante e nelle altre terre islamiche, diffida, diffida e
diffida dal sacrificare te stesso e il tuo denaro, diffida dall’emigrare, dall’abbandonare
la tua patria e la tua famiglia, e dal trascorrere la tua vita in prigione; i
laici coglieranno i frutti di questi grandi sacrifici come conseguenza delle
contrattazioni dei politici e della loro rinuncia alle costanti della dottrina
e della sharia. La stessa tragedia che viviamo da oltre un secolo si sta
ripetendo, ed è come se non avessimo dedotto nulla da quei drammi e dalla misera
fine di quella che è stata definita la primavera araba.
O voi leoni
dell’Islam nel Levante, di tutte le fazioni di combattenti e di ogni terra
islamica, il Levante è affidato al vostro collo, svuotatelo degli alawiti, dei
laici, dei rafiditi safavidi, difendetelo dagli attacchi dei crociati e non
lasciatelo ai fanatici takifiristi. Questi ultimi hanno accusato di miscredenza
la direzione di al-Qaeda, affermato, mentendo, che nessuno tra coloro che
professa l’unicità di Dio (muwahhidûn)
ha affrontato gli houthi, lanciato ingiurie contro i soldati dell’emirato
islamico definendoli agenti dell’Inter-Services Intelligence, e accusato di
miscredenza buona parte dei mujahidin nel Levante.
Essi sono
coloro che rifiutano l’autorità della sharia quando la maggior parte dei mujahidin
del Levante la accoglie e, oltre a rifiutarla, hanno preso ad attaccare la
dottrina dei mujahidin che hanno dato le loro vite per difenderne la sovranità.
Questi hanno proclamato un califfato per mezzo di una
dichiarazione di fedeltà (bay‘a) di alcuni sconosciuti,
avvenuta in un luogo e in un momento sconosciuti, a un uomo che non la merita e
che, di fatto, ha ricevuto una dichiarazione di fedeltà per un emirato islamico.
La notizia è stata diffusa da chi non godeva della credibilità necessaria per
diffonderla, tanto sono numerose le menzogne e le diffamazioni di cui è
artefice. […]
Talebani in Afghanistan |
Essi affermano
di seguire le orme dei loro pii antenati malgrado il conflitto con lo shaykh Osama bin Laden, Dio ha avuto
misericordia di Lui – il quale dichiarava che la bay‘a al principe dei credenti, il mullah Muhammad Omar, è la bay‘a suprema e invitava i musulmani a
dichiarargli fedeltà –, e malgrado il conflitto con lo shaykh Abu Hamza al-Muhajir, Dio ha
avuto misericordia di lui, il quale riteneva che chi si chiama fuori dal patto
di fedeltà dopo che il principe dei credenti, il mullah Muhammad Omar, l’ha
riconosciuto, compie un crimine ben più grave della fornicazione e del consumo
di vino. […]
domenica 14 febbraio 2016
Sui media arabi continua la guerra tra filo-sauditi e filo-iraniani
[Voci dal mondo arabo]
Chi mette Isis e Iran sullo stesso piano e chi invece imputa la crisi attuale all’Arabia Saudita e alla diffusione del wahabismo. Tre articoli da tre diversi giornali arabi mostrano quanto è accesso lo scontro che sta dividendo (e distruggendo) il Medio Oriente.
La Russia offre sostegno sia a Isis sia a Bashar al-Asad
Chi mette Isis e Iran sullo stesso piano e chi invece imputa la crisi attuale all’Arabia Saudita e alla diffusione del wahabismo. Tre articoli da tre diversi giornali arabi mostrano quanto è accesso lo scontro che sta dividendo (e distruggendo) il Medio Oriente.
La lettura del testo e la riforma religiosa
Di Ridwan
al-Sayyid, al-Ittihâd, 17
gennaio 2016
Sebbene non abbiano le azioni di Daesh e degli
iraniani non abbiano alcuna
relazione con la religione, nemmeno per chi le commette in nome di
quest’ultima, esse ci pongono ogni giorno di fronte a problematicità con cui dobbiamo fare i conti.
Quando, cinque mesi fa, gli ufficiali iraniani hanno
iniziato a cadere ad Aleppo e nel nord della Siria, gli sciiti, e tra loro Khamenei, nei loro
discorsi commemorativi affermavano come questi fossero morti solo per proteggere i luoghi di
pellegrinaggio degli Al al-Bayt e combattere quanti lanciavano anatemi. Quando poi il fronte di Riyadh si
è mosso contro Teheran, Ja‘afari, capo della Guardia della rivoluzione, ha dichiarato che la
Guardia aveva addestrato duecentomila combattenti dispiegandoli in cinque Paesi arabi per diffondere i
valori della rivoluzione islamica e difendere gli interessi della Repubblica!
Dopo tutto ciò c’è ancora bisogno di spiegare i due
pretesti dell’ingerenza iraniana, vale a dire difendere i luoghi di pellegrinaggio e
combattere chi accusa gli sciiti di miscredenza? Noi siamo tenuti a considerare queste cose seriamente non
perché vi siano dei dubbi sulle due questioni, ma perché dobbiamo parlare ai cittadini arabi –
musulmani, cristiani e non solo. Molti di loro credono a ciò che dicono gli iraniani, non perché
abbiano una buona opinione dell’Iran, ma per la cattiva opinione che al-Qaida e Daesh hanno diffuso
degli arabi e dell’Islam. Daesh ha attaccato alcuni luoghi di pellegrinaggio, la maggior parte dei
quali sono dedicati a personalità sufi e storiche sunnite. I santuari e le tombe che offrono loro
sepoltura, che siano dedicati agli Al al-bayt o ad altri, sono edifici dei sunniti, non degli sciiti – com’è il
caso del mausoleo di Sayyida Zeynab nelle vicinanze di Damasco – e perciò difendere
questo patrimonio religioso non spetta né agli iraniani né a Hezbollah. Non si è mai sentito che un Paese occupi un altro Paese perché una tomba
che gli appartiene è oggetto di attacchi. Così come
non si è mai sentito che i musulmani sunniti nel mondo abbiano il diritto di andare a proteggere i
musulmani in Siria e in Iraq le cui moschee sono distrutte a migliaia dall’artiglieria, dai
bombardamenti aerei e dalle esplosioni […].
[Per leggere tutto l’articolo clicca
qui]
Daesh e il daeshismo del regime saudita
Di Sâmir al-Marâhî, al-Akhbâr, 9
febbraio 2016
Chi legge in maniera scientifica e oggettiva la situazione
in cui versano le nostre società e molti Paesi arabi e islamici per la diffusione del takfîr
(anatema) criminale e la violenza daeshita [Daesh è l’acronimo arabo per Isis. Daeshita si riferisce
all’ideologia di Daesh, ndt], percepirà come il fattore intellettuale e ideologico sia la
causa principale di ciò che affligge le nostre società e i nostri Paesi. Questo fattore può
essere sintetizzato nel salafismo wahabita e nella sua cultura. È evidente che il salafismo wahabita non si sarebbe diffuso in
molti Paesi arabi e occidentali se il regime saudita non lo avesse fatto proprio e non gli avesse
garantito il sostegno materiale, mediatico e politico. Il salafismo è riuscito ad attrarre molti
seguaci fino a diventare un movimento mondiale il cui riferimento è il
wahabismo saudita. La natura delle dottrine adottate dal salafismo wahabita non è un segreto. Esso include la peggior specie di
sciovinismo religioso, l’accusa di miscredenza e l’annientamento dell’altro; il salafismo
invita chiaramente a praticare la violenza, è incline alla persecuzione e alla repressione, lede i diritti
dell’uomo, della donna, delle minoranze religiose e confessionali, e a distrugge la libertà in tutte
le sue forme ed espressioni. È altrettanto noto che il regime saudita sostiene il salafismo wahabita
e contribuisce a diffondere la da‘wa [predicazione] e divulgare
le sue dottrine, incitando al terrorismo, invitando a lanciare accuse di miscredenza, incitando a praticare la violenza, diffondendo
la cultura dell’odio, fomentando la divisione e il razzismo, e incoraggiando l’uccisione e il
crimine […]
Di Ahmad Rahma, Al-Jazeera, 12
febbraio 2016
Gli arabi devono ricorrere al soft power nella
lotta contro l’Iran
Di Karîm ‘Abdiyân Sa‘îd, Al-Sharq
al-Awsat, 11 febbraio 2016
Non è più un segreto che il regime teocratico oggi in
carica in Iran sia un’estensione del movimento anti-arabo della shu‘ûbiyya [movimento
che già durante l’espansione islamica contestava la preminenza degli arabi], e che si ammanti
dello sciismo per servire i propri interessi e conseguire i propri obiettivi di espansione nella regione
araba. Al fine di raggiungere questi obiettivi il regime ricorre a tutti i mezzi disponibili –
umani, materiali e mediatici in particolare, per uscire vittorioso dalla lotta manifesta con gli arabi.
Rispetto all’ascesa della minaccia iraniana, noi riteniamo
che i Paesi arabi in generale e il Consiglio di Cooperazione del Golfo in particolare debbano bloccare
questa espansione e affrontarla direttamente, senza rimandare, e lavorare alla creazione di
un equilibrio strategico con questo Stato apostata, che si intromette negli affari dei suoi vicini e
destabilizza la loro sicurezza e stabilità.
Vale la pena ricordare che, da ben tre decenni, gli attivisti
arabi ahwazi [da Ahwaz, capitale della provincia iraniana del Khuzestan, ndt] mettono in guardia
dal pericolo di incursioni del regime iraniano nella regione, in virtù della
conoscenza che ne hanno avuto e di cui sono stati vittime.
All’epoca però il conflitto presentava una natura diversa
rispetto a quella di oggi, perciò i loro avvertimenti non furono presi sul serio. Oggi però la lotta tra gli arabi e l’Iran è diventata una
lotta esistenziale, che esige un approccio globale che preveda l’uso della forza per scongiurare questo
pericolo imminente. Ma di quale forza
stiamo parlando? Io vedo due tipi di forze, l’“hard
power” […] e il “soft power”. Io ritengo che il secondo sia più efficace […].
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martedì 9 febbraio 2016
Siria: nella morsa dell’Iran e dello Stato Islamico
[Voci
dal mondo arabo]
Secondo
l’intellettuale libanese Ridwan al-Sayyid
l’ingerenza iraniana in Siria è inopportuna e inammissibile. I pretesti avanzati dall’Iran – la difesa dei luoghi di
culto sciiti presenti a Damasco e la lotta contro chi accusa di miscredenza gli
sciiti – a giustificazione del suo intervento non sono credibili perché, spiega
al-Sayyid, nessuno Stato può arrogarsi il diritto di occupare un altro Stato
col pretesto di difendere un luogo di culto che gli appartiene.
Nel
frattempo lo Stato Islamico continua a mietere migliaia di vittime, non solo
tra i cristiani e gli sciiti ma anche tra i sunniti, mosso nelle sue azioni dalla
dottrina della fedeltà e della rottura (al-walâ’ wal-barâ’).
Qui
sotto la traduzione dell’articolo
dell’autore.
Sebbene
non abbiano alcuna relazione con la religione, anche agli occhi di chi le
commette ponendole sotto la sua egida, le azioni di Daesh e degli iraniani ci
pongono ogni giorno di fronte ad ambiguità con cui dobbiamo confrontarci.
Quando,
cinque mesi fa, gli ufficiali iraniani hanno iniziato a cadere ad Aleppo e nel
nord della Siria, gli sciiti, e tra loro Khamenei, nei loro discorsi
commemorativi affermavano come questi fossero morti solo per proteggere i luoghi
di pellegrinaggio degli Al al-Bayt e combattere quanti lanciavano anatemi. Quando
poi il fronte di Riyadh si è mosso contro Teheran, Ja‘afari, capo della Guardia
della rivoluzione, dichiarò che la Guardia aveva addestrato duecentomila combattenti
dispiegandoli in cinque Paesi arabi per diffondere i valori della rivoluzione
islamica e difendere gli interessi della Repubblica!
Nasrallah, l'ayatollah Khamenei e la moschea di Sayyida Zeynab a Damasco |
Dopo
tutto ciò c’è bisogno di spiegare i due pretesti dell’ingerenza iraniana, vale
a dire difendere i luoghi di pellegrinaggio e combattere chi accusa gli sciiti
di miscredenza? Noi siamo tenuti a considerare queste faccende seriamente non
perché vi siano dei dubbi sulle due questioni, ma perché dobbiamo parlare ai
cittadini arabi – musulmani, cristiani e non solo. Molti di loro credono a ciò
che dicono gli iraniani, non perché abbiano una buona opinione dell’Iran, ma
per la cattiva opinione che al-Qaida e Daesh hanno diffuso degli arabi e
dell’Islam. Daesh ha rivolto la sua attenzione ad alcuni luoghi di
pellegrinaggio, la maggior parte dei quali sono dedicati a personalità sufi e
storiche sunnite. Quei luoghi di culto e quelle tombe i cui mausolei sono
oggetto di attenzione, che siano dedicati agli Al al-bayt o ad altri, sono
edifici dei sunniti, non degli sciiti – com’è il caso del mausoleo di Sayyida
Zeynab nelle vicinanze di Damasco – e perciò difendere questo patrimonio
religioso non spetta né agli iraniani né a Hezbollah. Non si è mai sentito che
un Paese occupi un altro Paese perché una tomba che gli appartiene è oggetto di
attenzioni. Così come non si è mai sentito che i musulmani sunniti nel mondo
abbiano il diritto di andare a proteggere i musulmani in Siria e in Iraq le cui
moschee sono distrutte a migliaia dall’artiglieria, dai bombardamenti aerei e
dalle esplosioni. L’ultimo caso risale a pochi giorni fa quando a Diyala, in
Iraq, una decina di moschee sono state distrutte da Daesh con il pretesto della
vendetta in un attentato suicida nel mercato della città.
Ma
torniamo a Daesh. Daesh ha una cattiva opinione degli sciiti e dei cristiani. Un’opinione
ancor peggiore ce l’ha dei musulmani sunniti. Quasi non uccidono che loro.
Daesh, così come al-Qaida, è uno scisma nella nostra religione o dalla nostra religione.
È evidente che lo scisma vuole eliminare l’origine e sostituirsi ad essa. A quale
pretesto religioso si appella Daesh, che uccide non centinaia ma migliaia di
persone? Il pretesto è, come d’abitudine, la dottrina della fedeltà e della
rottura (al-walâ’ wal-barâ’).
Alcune
settimane fa ho assistito a una discussione tra due studiosi sulla questione.
Entrambi erano contro Daesh, ma uno dei due riteneva necessario applicare la
dottrina della fedeltà e della rottura poiché essa è contemplata in settanta
versetti coranici. Questa dottrina è strettamente collegata alla controversia
sull’abrogazione (naskh) tra i versetti della conciliazione e i versetti
della spada. Personalmente ritengo, come centinaia di studiosi vissuti negli
otto secoli che mi hanno preceduto, che le due questioni siano state risolte da
questo versetto: “Dio non vi proibisce di essere buoni ed equi con chi non vi
ha combattuto e non vi ha scacciato dalle vostre case, Dio ama gli equanimi”
(60,8).
Il
nostro rapporto con il resto dell’umanità è fondato sulla benevolenza e la
rettitudine, e noi abbiamo il diritto di difenderci solo se ci combattono a
causa della nostra fede o della nostra terra. Analogamente ha posto fine a
questa dottrina l’esperienza storica della umma confluita nelle interpretazioni
relative alla guerra, alla pace e alla tregua che gli Stati che si sono
succeduti hanno applicato. Nella dottrina della fedeltà e della rottura c’è un
ampliamento notevole della nozione di fede. Chi declama che non vi è altro dio
se non Iddio e che Muhammad è il suo Profeta entra nel Giardino [paradiso, ndt].
Non è miscredente chi dissente da Abu Bakr al-Baghdadi o da altri, né si può
accusare qualcuno di miscredenza per questo.
Se
accade che questi giovani creano una scissione e diffondono ovunque la morte e la
distruzione mentre i fondamentalisti iraniani le diffondono nel mondo arabo,
per quanto la loro propaganda sia falsa e assurda, non conviene prenderla alla
leggera né tacere, perché il popolo sunnita e sciita non siano tratti in
inganno. Non c’è potenza né forza se non in Dio.
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