La sintesi di una
conversazione con Stephane Lacroix, professore di Scienze politiche ed esperto
di salafismo, su ciò che accomuna e ciò che distingue il salafismo jihadista di
Daesh dal wahhabismo saudita. Il video-intervista è stato realizzato da Mediapart pochi giorni dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre.
Secondo
il giornalista algerino Kamel Daoud, Daesh ha una madre, l’invasione americana
dell’Iraq nel 2003, e un padre, l’Arabia Saudita.
Ma
Stephane Lacroix non è d’accordo. Sebbene Daesh e l’Arabia Saudita condividano
molti aspetti ideologici, teologici e giuridici, e l’approccio letteralista alle
Scritture, per diverse ragioni Daesh non può essere considerato un prodotto
saudita.
In
primo luogo, il salafismo saudita ha dato vita a un sistema politico costruito
su un equilibrio tra religioso e politico. Questo sistema bicefalo fa sì che “l’estremismo”
religioso sia in un certo modo limitato dal patto che lo lega alla parte
politica. In Arabia Saudita sono presenti due sfere, i predicatori e i
principi. I principi attuano politiche pragmatiche, fanno la real-politik lasciandosi guidare dalla
ragione di Stato. Questo i sauditi l’hanno dimostrato in più di un’occasione
nelle loro decisioni di politica estera. Si sono alleati con gli Stati Uniti e in
alcuni momenti della storia addirittura con i comunisti. Negli anni ’60 durante
la guerra civile in Yemen hanno sostenuto gli zaiditi, sciiti, perché erano ostili
all’influenza dei nasseristi, nonostante l’ideologia wahhabita sia anti-sciita.
Nel ’94 sempre in Yemen hanno sostenuto i comunisti.
L’Arabia
Saudita, contrariamente allo Stato Islamico, si definisce Stato, non califfato,
e i principi non si dicono califfi.
Il
salafismo saudita è una visione societaria che si ferma là dove inizia la parte
politica. I salafiti agiscono sulla società dal basso. Essi diffondono il loro
messaggio ultraconservatore attraverso la predicazione, vogliono costituire
quella che secondo loro è la società islamica ideale ma non hanno pretese
politiche. Il jihadismo invece è l’esatto contrario, cerca di prendere il
potere con la violenza.
Nel
Novecento, in Arabia Saudita, il politico ha saputo addomesticare il religioso.
Ciò è evidente, per esempio, nella visione che i wahhabiti hanno maturato degli
sciiti. Se nell’Ottocento li definivano apostati, nel Novecento hanno iniziato
a considerarli dei cattivi musulmani, ma pur sempre musulmani.
I
sauditi vedono nella Stato Islamico una minaccia ed è esagerato affermare che
l’abbiano sostenuto finanziariamente. Lo Stato Islamico funziona come un qualunque Stato: ha introdotto le imposte e controlla i pozzi petroliferi, perciò per
esistere non ha bisogno di finanziamenti esterni.
Il
salafismo non spiega le origini del jihadismo, cioè dell’azione violenta ispirata
da un programma totalitario volto a costituire uno Stato islamico duro e puro.
All’origine del jihadismo c’è Sayyid Qutb, che non ha subito l’influenza del salafismo
saudita. Il
messaggio jihadista ha iniziato a essere ridefinito e riscritto a partire da nozioni salafite solamente negli anni ’90. Il jihadismo non ha bisogno del salafismo
per esistere.
Il
salafismo e il jihadismo pongono entrambi dei problemi, ma non gli stessi. Per
affrontarli occorre saperli riconoscere. Fare confusione tra i due e offrire
soluzioni sbagliate può potenzialmente condurre alla radicalizzazione.
In
Arabia Saudita in futuro potrebbe emergere uno Stato diverso da quello che conosciamo. Diversi
movimenti infatti contestano l’ordine religioso. L’opposizione di destra lo ritiene
troppo morbido e auspica un modello duro e puro (che si avvicina a quello di
Daesh), mentre l’opposizione di sinistra vorrebbe reinventare il salafismo. Si
tratta, in questo secondo caso, di uomini di religione che hanno studiato nelle
università saudite, padroneggiano alla perfezione le fonti e le nozioni
salafite e, a partire da queste, cercano di ridefinire il ruolo del religioso e
del politico. Essi hanno costituito un movimento che chiede l’istituzione di
una monarchia costituzionale con un parlamento eletto, e la giustificano citando
passaggi tratti dai testi di Ibn Taymiyya, considerato l’ispiratore del
salafismo moderno.