domenica 31 gennaio 2016

Damasco: attentato contro gli sciiti

Lo Stato Islamico ha rivendicato l’attentato di Damasco costato la vita a oltre cinquanta persone. Il mausoleo-moschea  di Sayyida Zaynab presso la quale si è consumata la strage è uno dei più importanti luoghi di pellegrinaggio sciita della Siria. Zaynab infatti era la figlia terzogenita di ‘Ali ibn Abu Talib, quarto califfo ben guidato e primo imam sciita, e di sua moglie Fatima, figlia del profeta Muhammad. Zaynab era perciò la sorella di Hasan e Husayn, ucciso nel 680 durante la battaglia di Kerbela per mano degli Omayyadi. Nella tradizione sciita Zaynab incarna un modello di sfida contro l’oppressione e l’ingiustizia.
 
Moschea Sayyida Zaynab ©Chiara Pellegrino

Di seguito il testo della rivendicazione dell’attentato.


Rivendicazione dell'attentato

Due soldati degli eserciti del califfato sono riusciti a portare a termine due operazioni di martirio contro un gruppo di rafiditi [sciiti, ndt] miscredenti nella zona di Sayyida Zaynab a Damasco, mietendo circa cinquanta morti e centoventi feriti tra i rafiditi miscredenti. Sappiano i rafiditi che così come uccidono, saranno uccisi, e così come bombardano, saranno fatti esplodere. Non saranno risparmiati dai colpi dei mujahidin, se Dio vuole. “Dio porta sempre a compimento il Suo decreto, ma la gran parte della gente non lo sa” (12,21).
         

mercoledì 27 gennaio 2016

Esecuzioni capitali in Arabia Saudita: l’accusa di al-Qaida

A pochi giorni dall’esecuzione della pena di morte a cui l’Arabia Saudita ha condannato 47 persone a inizio gennaio, il leader di al-Qaida Ayman al-Zawahiri ha rilasciato un video di condanna dal titolo “Gli al-Saud assassini dei mujahidin”. Dei quarantasette decapitati, quattro erano sciiti – tra questi il leader Nimr al-Nimr, condannato per sedizione con l’accusa di aver fomentato le rivolte sciite del 2012 nella Provincia orientale del Paese – mentre gli altri erano militanti al-Qaida. 
Il video si apre con la recitazione dei primi versetti coranici della sura delle Torri (85,1-8) seguita da una breve clip di un discorso tenuto da Anwâr al-Hawlakî, ideologo di al-Qaida nella Penisola araba rimasto ucciso durante un raid americano nel 2011. Al-Hawlakî paragona il martirio a un albero i cui frutti crescono, maturano e sono raccolti. L’albero del martirio nella penisola arabica – afferma l’ideologo – ha maturato i suoi frutti, e Dio li ha colti prendendo con sé i martiri. Al discorso di al-Hawlakî segue il messaggio audio del leader di al-Qaida di cui si riporta la traduzione integrale. 



Ayman al-Zawahiri, leader di al-Qaida
Sia lode a Dio e la preghiera e la pace siano sull’Inviato di Dio, sulla sua famiglia e sui suoi compagni. 

O voi fratelli musulmani di ogni luogo, la pace, la misericordia e la benedizione di Dio siano su di voi.

I mezzi d’informazione hanno trasmesso la notizia dell’uccisione, a opera del governo saudita, di più di quaranta combattenti oltre a Nimr al-Nimr. Quest’ultimo è un uomo dell’Iran nella penisola arabica orientale. La sua uccisione è una manifestazione della rivalità tra l’Arabia Saudita e l’Iran per esercitare l’influenza nella regione, con il pretesto di proteggere gli interessi e l’accordo con l’America.

Quando i popoli arabi sono insorti contro l’iniquità, l’Arabia Saudita ha dato ospitalità a Zine El-Abidine Ben Ali e sostenuto al-Sisi, mentre l’Iran ha sostenuto il sanguinario, figlio del sanguinario, Bashar al-Assad. Quanto allo Yemen, i due si sono divisi nel complotto contro la rivoluzione popolare contro la corruzione: l’Iran ha sostenuto il destituito mentre l’Arabia Saudita ha sostenuto il Vice del destituito. 

Nel Levante hanno partecipato entrambi alla guerra contro i combattenti; l’Arabia Saudita attraverso l’alleanza con l’America, l’Iran attraverso l’alleanza con la Russia. Tutti vogliono eliminare i combattenti e impedire l’istituzione di qualsivoglia governo islamico jihadista nella Siria del jihad. 

L’Iran ha colmato il mondo di lamenti per il suo uomo. A non essere compianti sono stati i combattenti, i veri nemici dell’America, che hanno ubbidito all’ordine del loro profeta – la pace e la preghiera siano su di lui – “espellete gli infedeli dalla penisola araba”. Essi hanno promesso a Dio di mantener fede al giuramento del loro imam Osama bin Laden, che Dio abbia misericordia di lui: “Giuro su Dio onnipotente che ha innalzato i cieli senza pilastri, che l’America e i suoi abitanti non vedranno la pace finché noi non vivremo in pace in Palestina e tutti gli eserciti miscredenti non si saranno ritirati dalla terra di Muhammad, la pace e la preghiera siano su di lui”.  

Chiedo a Dio di ricompensare la umma musulmana, accettare il suo jihad e i suoi sacrifici per la causa della vittoria dell’Islam, e purificare la terra dei due luoghi sacri [Mecca e Medina] dagli infedeli e dai loro servitori traditori, apostati e corrotti.

Rivolgo le mie condoglianze alle famiglie [dei combattenti], ai loro parenti e ai loro fratelli, e chiedo al Signore del Trono sublime di concedere loro la pazienza e il compiacimento per il decreto divino, instillare nei loro cuori la pazienza e la fede, e dare loro ricompensa più grande. 

Concludo rivolgendo tre messaggi.

Il primo messaggio è rivolto ai combattenti. Io dico loro: la migliore vendetta per i vostri fratelli è danneggiare l’alleanza crociato-sionista. Seguite i suoi interessi laddove vi è possibile, ciò che più fa soffrire gli al-Saud è che i loro padroni siano colpiti ed essi debbano cercare un nuovo custode. 

Il secondo messaggio è rivolto alla nostra gente nella penisola araba, ai loro ‘ulamâ’, ai loro capi e alle loro fiere tribù. A costoro dico: per voi è venuto il momento di sbarazzarvi di questo sistema marcio che vi ha corrotto la religione e il mondo, e non vi difenderà né dal pericolo safavide né dal pericolo americano. Anzi, i suoi criminali si daranno alla fuga così come si sono dati alla fuga gli al-Sabah. 

Ricordo anche agli ‘ulamâ’ sinceri della penisola il loro ruolo nella promozione della virtù e nella prevenzione del vizio nei confronti di questo regime apostata, ostile ai musulmani e protettore dell’Occidente che li deruba delle loro ricchezze. […]

Che il sapiente martire – perché tale noi lo consideriamo – Fâris bin Ahmad al-Shuwîl al-Zahrânî, Dio abbia misericordia di lui, sia per loro un modello. I suoi sacrifici e il suo martirio rendono vive le sue parole di ribellione alla vittoria dei tiranni, alla violenza degli oppressori e ai grandi criminali. 

E ricordo loro il dovere di smascherare gli ‘ulamâ’ malvagi che inducono i grandi criminali a commettere i loro crimini contro i musulmani e i combattenti. Disse il Profeta – la preghiera e la pace siano su di lui: “Avete sentito che dopo di me verranno dei principi. Chi si accosta a costoro, crede alla loro menzogna e li sostiene nella loro iniquità, costui non ha a che fare con me ne io con lui, e non mi incontrerà alla Fonte (al-hawdh). Chi non si accosta a costoro, non crede alla loro menzogna e non li sostiene nella loro iniquità, costui ha a che fare con me e io con lui, e mi incontrerà alla Fonte”.    

Il terzo messaggio è rivolto alle [bandiere] nere del jihad nel Levante. A costoro dico: fratelli miei, eccola l’Arabia Saudita che uccide i combattenti e ha svelato un nuovo crimine commesso contro il jihad e i combattenti nell’interesse dell’America e di Israele. L’Arabia Saudita vi vuole come coloro che hanno combattuto i russi in Afghanistan ieri e oggi sono diventati agenti dell’America. Chi tra voi si compiace di questo?!

Sia lode a Dio, Signore dei mondi. 

La preghiera e la pace di Dio siano sul suo servo Muhammad, sulla sua famiglia e sui suoi compagni.

La pace, la misericordia e la benedizione di Dio siano su di voi.

sabato 23 gennaio 2016

Quei terroristi del deserto che si rifanno al medioevo del Maghreb

 Chi sono Aqmi e i Murabitun, all’origine dell’attacco in Burkina Faso

*Articolo scritto per Fondazione Oasis

Nonostante il Burkina Faso in passato fosse già stato teatro di attentati di piccole dimensioni e rapimenti di stranieri, azioni terroristiche come quelle che hanno insanguinato la capitale Ougadougou il 15 gennaio sono inedite. A poche ore dall’attentato, al-Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi) ha rilasciato un primo comunicato, diffuso dal suo ente di comunicazione al-Andalus, in cui attribuiva l’operazione ai “cavalieri Murabitun”, suoi affiliati. I Murabitun hanno agito in Burkina Faso a nemmeno due mesi dall’attentato all’hotel Radisson di Bamako, in Mali.

Caffé Cappuccino, Ouagadougou


Gli anni del massacro in Algeria

La rivendicazione riaccende l’interesse sui rapporti che intercorrono tra Aqmi e la brigata Murabitun. Diversamente dalla galassia jihadista mediorientale in cui le alleanze tra gruppi sono più chiare, il caso del Sahara e del Sahel è complesso perché spesso i legami tra i gruppi sono instabili e volatili; le formazioni possono nascere e disgregarsi in pochi anni e poi dar vita a nuove organizzazioni, adattandosi alle necessità del momento e superando le differenze ideologiche. Le origini di Aqmi e dei Murabitun costituiscono un esempio di questa dinamica.

Aqmi si è costituita sulle ceneri del Gruppo Islamico Armato (Gia) algerino - negli anni 90 si era opposto alla leadership militare algerina che aveva impedito la vittoria elettorale degli islamisti - e del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (Gspc), creato nel 1998 da alcuni comandanti dal Gia fuoriusciti dall’organizzazione perché contrariati dall’eccessiva violenza perpetrata sui civili algerini. Benché all’inizio questo nuovo movimento avesse riscosso un certo successo di reclutamento, una campagna antiterrorismo del governo algerino nei primi anni del 2000 lo fece cadere in disgrazia. Fu allora che il Gspc dichiarò fedeltà ad al-Qaida, divenendo nel gennaio 2007 al-Qaida nel Maghreb islamico.

Nel corso del tempo al-Qaida nel Maghreb ha subito scissioni al suo interno: si sono formati altri gruppi e brigate, tra cui il Movimento per l’Unità e il Jihad in Africa Occidentale (Mujao) e la brigata al-Mulathamin (“i velati”), dalla cui unione nell’agosto 2013 è nata la brigata dei Murabitun, capeggiata dal famigerato Mokhtar Belmokhtar. I Murabitun hanno assunto il loro nome in ricordo dei guerrieri che nell’XI secolo diedero vita al sultanato berbero degli Almoravidi, in arabo appunto al-Murabitun. All’epoca i guerrieri vivevano nel ribât, il fortino al confine del Dar al-Islam, da dove conducevano il jihad in Africa e nella Spagna islamica. Il nome dell’organizzazione di Belmokhtar perciò vuol essere un segno di presunta continuità del jihad con l’antico impero almoravide.    

Mister Marlboro

Mokhtar Belmokhtar
Reduce del jihad che negli anni 80 aveva fatto convergere in Afghanistan migliaia di mujahidin per respingere l’invasione sovietica, e poi membro del Gia, l’algerino. Belmokhtar è considerato il signore indiscusso del jihad nel Sahara e nel Sahel. Terrorista e trafficante, finanzia le attività della sua brigata e di Aqmi con i traffici di sigarette – da qui gli deriva il soprannome “Mr. Marlboro” – armi, droga ed esseri umani, e con i soldi ottenuti dai riscatti pagati dai governi e dagli enti privati per la liberazione degli stranieri rapiti in loco. Nel 2012 il generale americano Carter Ham definiva Aqmi l’affiliato più ricco di al-Qaida.

Perché un attentato in Burkina Faso

Pochi giorni dopo l’attentato a Ougadougou, al-Qaida nel Maghreb ha diffuso un secondo comunicato, molto più esteso della prima dichiarazione. Nel documento, che si apre con un’immagine di tre giovani jihadisti autori dell’attentato, Aqmi si dilunga sulle ragioni dell’attacco, lancia un messaggio alla Francia e ai suoi alleati, e proclama la propria vicinanza ai mujahidin iracheni e palestinesi.

Obbiettivo degli attentatori – si legge – erano i “covi di crociati che depredano le nostre ricchezze, attentano al nostro onore e profanano le nostre cose sacre”. Il comunicato continua affermando che “Dopo lo studio, l’analisi, la raccolta di informazioni e la messa a punto degli obbiettivi, al-Qaida nei Paesi del Maghreb islamico ha colpito attraverso i suoi combattenti e i cavalieri migliori uno dei covi più pericolosi dello spionaggio mondiale in Africa occidentale – in particolare l’hotel Splendid e alcuni locali adiacenti nella capitale burkinabé Ougadougou, dalla quale è diretta la guerra all’Islam e in cui si sottoscrivono i contratti per depredare le risorse africane”.  

I “crociati” sono evidentemente i francesi, che dal 1896, anno in cui iniziarono la colonizzazione della regione, sono parte integrante della storia burkinabé. Anche in seguito all’indipendenza del Paese, concessa nel 1960, l’influenza francese non è mai cessata. Nell’ottobre 2014 quando il Presidente Blaise Campaoré è stato costretto alle dimissioni dalle proteste popolari dopo aver retto il Paese per ben 27 anni, i francesi hanno favorito il processo di transizione politica.

Quanto all’accusa di spionaggio, sarebbe un riferimento all’impegno dei francesi nella guerra al terrorismo in Africa occidentale. Dal gennaio 2013, per oltre un anno la Francia è stata impegnata nell’operazione Serval, che prevedeva il sostegno militare e logistico alle forze del governo del Mali per liberare il nord del Paese dall’occupazione dei ribelli jihadisti. A questa operazione, terminata il 15 luglio 2014, è seguita l’operazione Barkhane, che si prefiggeva di combattere i jihadisti del Sahel e riconfermava l’impegno militare francese in Africa occidentale. Il Burkina inoltre ospita sul suo territorio le forze speciali francesi che a novembre hanno liberato, assieme alle forze maliane, l’hotel Radisson a Bamako, attaccato dai jihadisti di Belmokhtar. 

Nel comunicato Aqmi accusa la Francia d’ingerenza e le attribuisce la responsabilità dello “spargimento di sangue dei suoi sudditi”. Riprendendo le parole di Osama bin Laden e Ayman al-Zawahiri, al-Qaida nel Maghreb lancia un monito alla Francia e ai suoi alleati avvisandoli di lasciare le terre islamiche se non vogliono che la sicurezza dei loro cittadini sia compromessa.

“Oggi la questione securitaria è una questione globale, non può essere considerata in modo parziale. O ci lasciate in pace nelle nostre terre o noi comprometteremo la vostra pace e quella dei vostri sudditi, così come voi compromettete la nostra. Al bene risponde il bene e colui che lo inizia è il più nobile, e al male risponde il male e colui che lo inizia è il più iniquo, come vi disse già il leone dell’Islam Osama bin Laden, e vi ha ripetuto il nostro emiro Ayman al-Zawahiri: ‘la sicurezza è un destino comune; se noi viviamo in sicurezza voi vivrete in sicurezza, se noi siamo in pace voi sarete in pace, ma se siamo colpiti e uccisi e Dio lo vuole, voi sarete colpiti e uccisi. Questa è la giusta reciprocità’”.

Sultanato almoravide, XII secolo
Nel comunicato compare inoltre un riferimento alla storia medievale del Maghreb. I combattenti jihadisti del Sahara e del Sahel si sono definiti “discendenti di Yusuf bin Tashfin”, primo sultano almoravide che regnò nel Maghreb al-Aqsa (l’attuale Marocco) dal 1089, e in al-Andalus (la Spagna musulmana) dal 1094. In quanto eredi della dinastia almoravide i combattenti sarebbero chiamati a vendicare il sovrano dell’undicesimo secolo: “I combattenti non dimenticano le offese ricevute e non si accontentano di una vita miserabile e meschina; sono risoluti a non riporre le loro spade finché la loro umma non tornerà a risplendere, e la croce e la miscredenza non saranno umiliate sotto i loro piedi”.

Questa “operazione benedetta” ricorda Aqmi, “non è altro che una goccia nel mare del jihad mondiale”. Il comunicato si conclude con un invito rivolto a tutti i mujahidin a “distruggere l’empietà sionista, crociata e sciita”, e un’esortazione rivolta specificamente ai sunniti del Levante e in particolare dell’Iraq “a schierarsi uniti di fronte ai complotti internazionali contro il jihad, e a mettere in pratica la parola del loro Signore: ‘Afferratevi tutti alla fune di Dio, non disperdetevi’ (Cor. 3,103)”.

venerdì 15 gennaio 2016

Attentato a Giacarta: testo di rivendicazione dell’Isis

A poche ore dall’attentato che il 14 gennaio 2016 ha insanguinato la capitale indonesiana, lo Stato Islamico ha diffuso il comunicato in cui rivendica gli attacchi. Di seguito la traduzione del comunicato. 


Testo della rivendicazione


3 Rabȋ‘ al-thânî 1437

Nel corso di un’operazione di sicurezza alcuni soldati del califfato hanno preso di mira un gruppo di sudditi della coalizione crociata (che combatte lo Stato Islamico) in Indonesia, nella città di Giacarta. Alcune bombe sono esplose in concomitanza con l’attacco di quattro soldati del califfato – che Dio li accolga – con armi leggere e cinture esplosive. L’operazione ha portato all’uccisione e al ferimento di circa quindici infedeli crociati insieme agli apostati incaricati di proteggerli. Sappiano i sudditi della coalizione crociata che, se Dio lo vuole, da oggi in avanti non vi sarà pace per loro nelle terre musulmane, «ché Dio vince sempre nell’eseguire il Suo Piano, ma i più, fra gli uomini, non lo sanno» (Cor. 12,21).