[Voci dal mondo arabo]
Chi mette Isis e Iran sullo stesso piano e chi invece imputa la crisi attuale all’Arabia Saudita e alla diffusione del wahabismo. Tre articoli da tre diversi giornali arabi mostrano quanto è accesso lo scontro che sta dividendo (e distruggendo) il Medio Oriente.
La Russia offre sostegno sia a Isis sia a Bashar al-Asad
Chi mette Isis e Iran sullo stesso piano e chi invece imputa la crisi attuale all’Arabia Saudita e alla diffusione del wahabismo. Tre articoli da tre diversi giornali arabi mostrano quanto è accesso lo scontro che sta dividendo (e distruggendo) il Medio Oriente.
La lettura del testo e la riforma religiosa
Di Ridwan
al-Sayyid, al-Ittihâd, 17
gennaio 2016
Sebbene non abbiano le azioni di Daesh e degli
iraniani non abbiano alcuna
relazione con la religione, nemmeno per chi le commette in nome di
quest’ultima, esse ci pongono ogni giorno di fronte a problematicità con cui dobbiamo fare i conti.
Quando, cinque mesi fa, gli ufficiali iraniani hanno
iniziato a cadere ad Aleppo e nel nord della Siria, gli sciiti, e tra loro Khamenei, nei loro
discorsi commemorativi affermavano come questi fossero morti solo per proteggere i luoghi di
pellegrinaggio degli Al al-Bayt e combattere quanti lanciavano anatemi. Quando poi il fronte di Riyadh si
è mosso contro Teheran, Ja‘afari, capo della Guardia della rivoluzione, ha dichiarato che la
Guardia aveva addestrato duecentomila combattenti dispiegandoli in cinque Paesi arabi per diffondere i
valori della rivoluzione islamica e difendere gli interessi della Repubblica!
Dopo tutto ciò c’è ancora bisogno di spiegare i due
pretesti dell’ingerenza iraniana, vale a dire difendere i luoghi di pellegrinaggio e
combattere chi accusa gli sciiti di miscredenza? Noi siamo tenuti a considerare queste cose seriamente non
perché vi siano dei dubbi sulle due questioni, ma perché dobbiamo parlare ai cittadini arabi –
musulmani, cristiani e non solo. Molti di loro credono a ciò che dicono gli iraniani, non perché
abbiano una buona opinione dell’Iran, ma per la cattiva opinione che al-Qaida e Daesh hanno diffuso
degli arabi e dell’Islam. Daesh ha attaccato alcuni luoghi di pellegrinaggio, la maggior parte dei
quali sono dedicati a personalità sufi e storiche sunnite. I santuari e le tombe che offrono loro
sepoltura, che siano dedicati agli Al al-bayt o ad altri, sono edifici dei sunniti, non degli sciiti – com’è il
caso del mausoleo di Sayyida Zeynab nelle vicinanze di Damasco – e perciò difendere
questo patrimonio religioso non spetta né agli iraniani né a Hezbollah. Non si è mai sentito che un Paese occupi un altro Paese perché una tomba
che gli appartiene è oggetto di attacchi. Così come
non si è mai sentito che i musulmani sunniti nel mondo abbiano il diritto di andare a proteggere i
musulmani in Siria e in Iraq le cui moschee sono distrutte a migliaia dall’artiglieria, dai
bombardamenti aerei e dalle esplosioni […].
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Daesh e il daeshismo del regime saudita
Di Sâmir al-Marâhî, al-Akhbâr, 9
febbraio 2016
Chi legge in maniera scientifica e oggettiva la situazione
in cui versano le nostre società e molti Paesi arabi e islamici per la diffusione del takfîr
(anatema) criminale e la violenza daeshita [Daesh è l’acronimo arabo per Isis. Daeshita si riferisce
all’ideologia di Daesh, ndt], percepirà come il fattore intellettuale e ideologico sia la
causa principale di ciò che affligge le nostre società e i nostri Paesi. Questo fattore può
essere sintetizzato nel salafismo wahabita e nella sua cultura. È evidente che il salafismo wahabita non si sarebbe diffuso in
molti Paesi arabi e occidentali se il regime saudita non lo avesse fatto proprio e non gli avesse
garantito il sostegno materiale, mediatico e politico. Il salafismo è riuscito ad attrarre molti
seguaci fino a diventare un movimento mondiale il cui riferimento è il
wahabismo saudita. La natura delle dottrine adottate dal salafismo wahabita non è un segreto. Esso include la peggior specie di
sciovinismo religioso, l’accusa di miscredenza e l’annientamento dell’altro; il salafismo
invita chiaramente a praticare la violenza, è incline alla persecuzione e alla repressione, lede i diritti
dell’uomo, della donna, delle minoranze religiose e confessionali, e a distrugge la libertà in tutte
le sue forme ed espressioni. È altrettanto noto che il regime saudita sostiene il salafismo wahabita
e contribuisce a diffondere la da‘wa [predicazione] e divulgare
le sue dottrine, incitando al terrorismo, invitando a lanciare accuse di miscredenza, incitando a praticare la violenza, diffondendo
la cultura dell’odio, fomentando la divisione e il razzismo, e incoraggiando l’uccisione e il
crimine […]
Di Ahmad Rahma, Al-Jazeera, 12
febbraio 2016
Gli arabi devono ricorrere al soft power nella
lotta contro l’Iran
Di Karîm ‘Abdiyân Sa‘îd, Al-Sharq
al-Awsat, 11 febbraio 2016
Non è più un segreto che il regime teocratico oggi in
carica in Iran sia un’estensione del movimento anti-arabo della shu‘ûbiyya [movimento
che già durante l’espansione islamica contestava la preminenza degli arabi], e che si ammanti
dello sciismo per servire i propri interessi e conseguire i propri obiettivi di espansione nella regione
araba. Al fine di raggiungere questi obiettivi il regime ricorre a tutti i mezzi disponibili –
umani, materiali e mediatici in particolare, per uscire vittorioso dalla lotta manifesta con gli arabi.
Rispetto all’ascesa della minaccia iraniana, noi riteniamo
che i Paesi arabi in generale e il Consiglio di Cooperazione del Golfo in particolare debbano bloccare
questa espansione e affrontarla direttamente, senza rimandare, e lavorare alla creazione di
un equilibrio strategico con questo Stato apostata, che si intromette negli affari dei suoi vicini e
destabilizza la loro sicurezza e stabilità.
Vale la pena ricordare che, da ben tre decenni, gli attivisti
arabi ahwazi [da Ahwaz, capitale della provincia iraniana del Khuzestan, ndt] mettono in guardia
dal pericolo di incursioni del regime iraniano nella regione, in virtù della
conoscenza che ne hanno avuto e di cui sono stati vittime.
All’epoca però il conflitto presentava una natura diversa
rispetto a quella di oggi, perciò i loro avvertimenti non furono presi sul serio. Oggi però la lotta tra gli arabi e l’Iran è diventata una
lotta esistenziale, che esige un approccio globale che preveda l’uso della forza per scongiurare questo
pericolo imminente. Ma di quale forza
stiamo parlando? Io vedo due tipi di forze, l’“hard
power” […] e il “soft power”. Io ritengo che il secondo sia più efficace […].
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