martedì 12 luglio 2016

Il terrorismo nei luoghi sacri

[Voci dal mondo arabo]

Come ha reagito la stampa araba agli attentati di Medina

Al-Masri al-Youm, 6 luglio 2016. Di Amr al-Shubaki

Se un attentatore suicida dell’Isis prende di mira le forze di sicurezza saudite durante il mese sacro, nel momento dell’appello alla preghiera del tramonto, e per di più nei pressi della tomba dell’Inviato (Maometto, Ndt) significa che siamo di fronte a una metamorfosi delle operazioni terroristiche. Nell’impatto quattro uomini della sicurezza hanno perso la vita, una scena che ha urtato i sentimenti religiosi di ogni musulmano oltre a quelli umani. Chi ha chiuso gli occhi davanti ai crimini dell’Isis perché questo prende di mira altre confessioni e religioni è complice quanto il kamikaze; i crimini che questa organizzazione commette contro gli arabi e i musulmani sunniti sono infatti maggiori di quelli che commette contro i musulmani sciiti o i non-musulmani. Chi è rimasto in silenzio di fronte all’esplosione avvenuta nel quartiere di Karrada a Baghdad, che ha provocato oltre 130 vittime, per lo più sciite, e ha pensato che ciò che è accaduto ad al-Qatif, a maggioranza sciita, non si sarebbe ripetuto a Medina o a Mecca è altrettanto colpevole, perché il terrorismo dell’Isis è un terrorismo assassino e i criminali non hanno patria, religione né confessione.

Un attentatore che si fa esplodere vicino alla moschea del Profeta riflette la trasformazione dei gruppi terroristici e il passaggio dalla fase del gruppo jihadista che accusa di miscredenza (takfīr) un governante o un sistema, ma limita l’uccisione dei semplici civili (come la Jamā‘at al-Islāmiyya e il Tanzīm al-Jihād in Egitto) e non compie operazioni suicide, alla fase dei gruppi takfiristi che non pongono alcun limite all’uccisione e allo sgozzamento quotidiani, come avviene in Iraq, Siria, Egitto, Tunisia, Francia, Turchia e America fino ad arrivare al cuore delle terre sacre dei musulmani, Medina.     

La metamorfosi dei gruppi terroristici è iniziata probabilmente dopo gli attacchi dell’11 settembre e la guerra dell’America al terrorismo, che ha favorito la diffusione di quest’ultimo. All’epoca comparve una nuova specie di terroristi, diversi rispetto ai vecchi terroristi. I nuovi erano in parte utenti dei social network, ma provenivano perlopiù da organizzazioni ideologiche che hanno banalizzato le norme relative a “dār kufr (casa della miscredenza)”, “dār ridda (casa dell’apostasia)”, “dār Islām (casa dell’Islam)”, “dār da‘wa (casa della Chiamata)”… fino a compiere operazioni terroristiche nei pressi della tomba del Profeta dell’Islam. 

I gruppi terroristici sono passati dal conflitto contro il potere interno con l’obbiettivo di farlo cadere e realizzare il loro progetto islamista, alla vendetta contro il mondo e l’umanità, nonostante sappiano bene di non essere capaci di far cadere un regime né in Medio-Oriente né in Occidente ma solamente di cercar vendetta contro il sistema, democratico o autoritario, e contro il popolo, musulmano o non-musulmano. Questi gruppi infatti sono cresciuti a suon di slogan superficiali e takfiristi che si ripetono sui social network, e che in poche settimane preparano giovani frustrati a intraprendere operazioni suicide, sconosciute alle organizzazioni jihadiste del secolo scorso.   

L’Iraq e la Siria sono diventati le nutrici per eccellenza del nuovo terrorismo perché offrono un ambiente fertile che attrae persone frustrate, mosse dal desiderio di sopraffazione, vendetta e denaro, e prive di formazione dottrinale. A un giovane del Tanzīm al-Jihad e della Jamā‘at Islāmiyya occorrevano anni di preparazione psicologica, dottrinale e religiosa prima di imbracciare un’arma e uccidere una persona. Ora invece un giovane è pronto a prendere le armi in pochi giorni e in poche settimane a compiere un attentato. Questo perché non è guidato da moventi propriamente dottrinali, ma dalla vendetta e dall’emarginazione e, a volte, dal denaro, benché questi siano riempiti di termini religiosi.

I sociologi e gli psicologi, e non solo gli esperti della sicurezza, dovrebbero studiare a fondo i moventi dell’attentatore suicida di Medina. Egli è parte di un’organizzazione che odia l’Islam e i musulmani e combatte tanto i sunniti quanto gli sciiti. Dio abbia pietà dei martiri del terrorismo in Arabia Saudita e in tutto il mondo.  

(Traduzione di Chiara Pellegrino per Fondazione Oasis)


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